All’inizio di febbraio del 1989 Paolo Arullani mi propose di collaborare con la nascente iniziativa del Campus Bio-Medico senza parlarmene esplicitamente. Non esisteva ancora nulla, neppure il nome: era solo un’idea, promossa nell’anno precedente dall’allora Prelato dell’Opus Dei, Mons. Alvaro del Portillo, e sviluppata in un “pensatoio” di alcune persone che avevano elaborato proposte preliminari.
In quel momento vivevo a Roma al Centro ELIS dove mi occupavo di formazione di giovani, ma lavoravo ancora proprio per don Alvaro nella gestione informatica di Villa Tevere, la sede centrale dell’Opus Dei: eravamo nella fase conclusiva del lavoro per il processo di beatificazione di San Josemaría Escrivá, che aveva richiesto il coordinamento di molti specialisti venuti a Roma da tutto il mondo affinché potessero utilizzare decine di terminali e i programmi scritti appositamente per il computer centrale voluto dal Prelato. Quello fu il primo processo di beatificazione della storia a usare i computer per l’elaborazione e la produzione dei documenti necessari.
Non capii esattamente la proposta di Paolo Arullani, ma risposi che ero disponibile a lanciarmi su un nuovo fronte. Trascorse qualche mese e ad aprile a Milano mi spiegarono tutto il progetto e iniziai a studiare come funzionavano le cliniche: era quello infatti l’obiettivo perché non avevamo ancora intenzione di costituire subito un’università. Il 4 maggio ebbi occasione di dire a don Alvaro che avevo un po’ di timore che il progetto fosse più grande di me. Mi tranquillizzò dicendo: “Innanzitutto bisogna pregare, per mettere le fondamenta; bisogna pregare molto. È un progetto adesso, ma bisogna metterlo in pratica. Sono molto contento, così mi terrai informato”. Seppi poi da un suo collaboratore che aveva acconsentito a “cedermi” a quell’iniziativa che riteneva molto importante, nonostante ci fosse ancora bisogno del mio lavoro di informatico nella sede centrale. Lo dimostrò nelle settimane seguenti quando continuavo ad andare a Villa Tevere per curare il passaggio di consegne. Gli ultimi giorni furono a fine settembre 1989 e il giorno del mio compleanno mi fece gli auguri. Mi chiese subito se avevamo trovato il terreno per la clinica e gli parlai di quello di Trigoria, di proprietà di Alberto Sordi, di cui aveva avuto notizia Gino Altomare a fine 1988 da un amico che lavorava al piano regolatore, ma che solo da poco avevamo seriamente iniziato a valutare: mi chiese dov’era e mi segnalò un altro terreno con edificio in vendita.
In quel periodo non avevamo neppure un ufficio come base e perciò chiedemmo all’Associazione Centro ELIS di prestarci una stanza nella sede dell’epoca, in viale Mazzini 11. Arrivò a Roma Giordano Dicuonzo che era stato precedentemente coinvolto nell’impresa: in quei primissimi mesi in quell’ufficio c’eravamo quasi sempre noi due (se non eravamo in giro a cercare terreni), insieme a Gino Altomare che stava lasciando le altre attività in cui era precedentemente coinvolto. Paolo Arullani e altri continuavano con il loro lavoro abituale, dedicando però molte energie al futuro Campus. A giugno 1989 ero andato per alcuni giorni a Pamplona per conoscere la Clinica Universitaria di Navarra e farmi un’idea di come funzionava un policlinico. Prima di partire, don Alvaro mi aveva ricevuto e incoraggiato: “Crescerai con il progetto”.
Non ho intenzione di ripercorrere tutta la storia di quegli inizi: lo farà qualcuno con i documenti, incluso il diario che io stesso scrivevo quasi giornalmente e di cui ho perso le tracce. Ricordo solo alcuni momenti topici nei quali fui coinvolto: fondare l’Associazione Campus Bio-Medico il 19 dicembre 1990; aprire il primo conto in banca alla BNL con Giovanni Diana che mi accompagnò anche da un produttore di formaggio, vicino Prima Porta, a chiedere (e ottenere) quello che può essere considerato il primo donativo (erano tre milioni di lire?) di un esterno al gruppo di persone coinvolte (gli raccontammo le nostre idee e gli facemmo leggere poche pagine con qualche fotografia del Policlinico Universitario di Navarra); gestire le prime borse di studio e la partenza delle prime studentesse di infermieristica per Pamplona; visitare terreni intorno a Roma. Quest’ultima era in quel momento l’attività più significativa: da essa dipendeva il futuro del Campus. Non ebbe successo la richiesta di farci regalare il terreno da un miliardario australiano: aveva un grosso progetto nella zona nord-est di Roma e ci chiese se avevamo uno sponsor politico per aiutarlo a realizzarlo. Avrebbe destinato una parte alla nostra clinica. Di fronte alla nostra risposta negativa ci congedò: il suo progetto non andò in porto e la sua grande azienda fallì non molto tempo dopo.
Il terreno di Trigoria di proprietà dei fratelli Sordi sembrava il migliore. Giordano Dicuonzo ricorda che fu lui il primo a visitare quell’area insieme a una persona che ci aiutava nelle ricerche: da una mia relazione dell’epoca risulta che anche io ero con lui (la memoria non ci dà certezze e forse il diario può dirimere la questione). Eravamo però ancora lontani dal decidere. Tentammo di contattare Alberto Sordi anche perché speravamo che ce lo regalasse o cedesse a condizioni di favore: ricordo che ci provò, tra gli altri, Mons. Francesco Angelicchio, che abitava con me all’ELIS perché era parroco della parrocchia adiacente. Fu tutto inutile perché Alberto Sordi non volle interessarsi a noi. Sarebbe stato suo fratello Giuseppe a occuparsi della trattativa. Giordano Dicuonzo ed io andammo a trovarlo per definire l’acquisto. Giuseppe Sordi fu molto esplicito: mi sembra di ricordare che ribadì quanto Gino Altomare aveva saputo precedentemente e cioè che non bastavano “medagliette” per comprarlo. Tornò sul prezzo, aumentandolo all’ultimo momento di 500 milioni di lire sostenendo che il giorno prima aveva “stretto la mano” a un altro potenziale compratore per il prezzo base. Accettammo, ma non avevamo soldi. Altri hanno raccontato gli sviluppi successivi e come convincemmo alcuni amici ad acquistarlo per poi rivendercelo.
Intanto studiavo i bilanci di cliniche in tutta Italia per redigere un business plan con Pippo Garofano che intercettavo a Ciampino ogni volta che veniva a Roma in aereo: lavoravamo anche in automobile nel tragitto verso il centro di Roma. Nell’estate del 1991 andai a Pamplona a lavorare con José María Paloma con il quale avevamo un rapporto costante di consulenza strategica e operativa: era il direttore amministrativo della Clinica Universitaria di Navarra. Si lavorava molto bene accanto a lui e si scoprivano molti “segreti” del successo di quell’iniziativa ormai consolidata. Entrammo in tale sintonia che José María avrebbe voluto che restassi lì: mi fece capire che l’aveva chiesto perfino a don Alvaro che, ovviamente, non accettò, sapendo quanto bisogno di forze ci fosse a Roma. Ebbi occasione di accogliere proprio il Prelato al suo ingresso in Clinica ai primi di settembre: mi chiese subito se mi stessi “impadronendo” del mestiere. Dimostrava ancora una volta di essere sempre attento a ciò che riguardava il Campus Bio-Medico.
In quegli anni cercavo di far funzionare la struttura organizzativa di un’impresa che ebbe un momento topico quando ci fu detto che c’era la possibilità di chiedere l’autorizzazione ministeriale per una Facoltà di Medicina, anche approfittando del fatto che la nascente Università Roma Tre non aveva intenzione di aprirne una e la zona di Trigoria si prestava bene a completare il quadro dei policlinici universitari romani.
Mi occupai della prima vera sede in viale Gioacchino Rossini: fu lì dove trascrissi al computer la proposta di Statuto del Libero Istituto Universitario, nato nel 1993. Lì nacque anche l’idea di uno strumento di comunicazione con coloro che ci stavano aiutando economicamente e in altri modi: poiché volevamo mantenere un rapporto familiare con loro, proposi il titolo “Lettere dal Campus” e redigemmo il primo numero, un foglio fronte-retro, stampato su una delle prime stampanti laser in bianco e nero relativamente economiche, e poi fotocopiato.
La sede era chiaramente provvisoria: quando ci trasferimmo a Palazzo Lancellotti a via dei Coronari, cambiò la prospettiva. Eravamo in un posto centralissimo e di prestigio: era importante per far capire quanto seria era l’iniziativa che promuovevamo. Fu una bella sfida risistemare quei locali al piano terra, abbandonati da tempo: con il bravo architetto Sferra Carini sfruttammo al meglio le caratteristiche di quelle grandi stanze. Mi trasformai in “direttore dei lavori” e riuscimmo a coniugare l’esigenza di sottolineare gli affreschi del Guercino con la necessità di mettere in rete i primi due computer Windows usando Novell Lite e successivamente tutti gli altri passando cavi tra gli ambienti senza poter fare tracce (non esisteva ancora il WiFi). Nella gestione materiale di tutte le attività (non solo informatiche) fu un grande aiuto il primo dipendente del Campus, Marco Carrara, che avevo “arruolato” perché lo conoscevo da anni al Centro ELIS. Nel frattempo si alternarono alcune segretarie per seguire tutte le pratiche amministrative. In quella sede sarebbe nata anche la Fondazione Alberto Sordi, con la donazione del terreno dove ora sorge il CESA. L’attore era sempre divertente e scherzoso, ma mentre lo fotografavo al momento della firma notai che diventò serio: era consapevole della portata dell’iniziativa alla quale aveva aderito dopo la morte del fratello Giuseppe.
La ricerca di una sede per iniziare le lezioni e il Policlinico non fu facile. Via Longoni arrivò dopo tante ipotesi e varie visite a edifici più o meno idonei, vicini e lontani da Trigoria. Alla fine, considerato che i lavori di costruzione nel terreno lì acquisito sarebbero andati per le lunghe, scegliemmo di ristrutturare l’edificio inizialmente destinato a una piscina coperta, accanto al Rome American Hospital. C’era ancora il cartello della polisportiva Tor Tre Teste quando andammo a vederlo. Insieme a Enrico Achiardi mi improvvisai ancora “direttore dei lavori” per la progettazione e la realizzazione delle aule sfruttando al massimo gli spazi e le peculiari caratteristiche di quel volume senza pilastri ma con le gradinate per il pubblico. Ebbi un colpo di fortuna nel sapere che l’IBM lasciava un suo storico edificio e quindi dismetteva mobilio. Così arredammo gratis tutte le aule con pesanti ma robuste scrivanie. Le sedie rosse furono oggetto di molti studi: le volevamo robuste, impilabili, eleganti e non troppo costose. Hanno retto bene per anni, anche se forse erano un po’ scivolose.
Nel frattempo facevo anche il mio “vero” mestiere, impostando quella che sarebbe stata la rete informatica del Campus: dopo la gestione iniziale con Marco Carrara, la affidai in buone mani a Marco Venditti che era stato mio alunno all’ELIS. Avevo anche convinto Paolo Casorati a lasciare l’Agip per imbarcarsi nella nostra avventura: avrebbe coordinato lui al posto mio le strategie informatiche mentre iniziavo la docenza universitaria.
Cominciò così il primo anno di università nell’ottobre 1993 e con esso le mie lezioni di informatica alla matricole in un laboratorio con un computer a testa, unico caso in Italia nelle facoltà di Medicina. Paola Binetti coinvolse anche me nel sistema tutoriale che tanto beneficio ha avuto per gli studenti e ci ha caratterizzati nei primi anni. Seguii fin dall’inizio la gestione dei test di ammissione, inventando un sistema di correzione informatizzata (non avevamo ancora la possibilità di scansione automatica di moduli a lettura ottica) con doppio controllo per evitare errori. Negli anni successivi avrei continuato a occuparmi di questi test, sia come esaminatore nei colloqui che come coordinatore della correzione: una volta curai personalmente anche la creazione delle domande, compito molto delicato e difficile. Posso affermare che mai c’è stata una “fuga di notizie” né qualcuno ha potuto accedere alle domande prima del giorno del test: il sistema era molto robusto e solo una o due persone dell’organizzazione sapevano tutte le domande in anticipo.
Grazie anche all’impulso del primo Rettore, Pietro Bucci, la cui esperienza fu determinante per aprirci un varco nel mondo universitario italiano, cercammo presto rapporti in Europa. Walter Nicoletti ed io rappresentammo il Campus nel marzo 1993 in Germania al primo incontro di facoltà di Medicina non statali organizzato dall’Università di Witten-Herdecke: non ebbe seguito la proposta di fondare un’associazione ad hoc per questo tipo di istituzioni private.
Attingendo a fondi europei, fu IAEVA, approvato nel 1995 e iniziato nel 1996, il primo progetto finanziato di ricerca del Campus, con partners inglesi e greci: si trattava di ricostruzione tridimensionale di immagini radiologiche. Avendolo coordinato per il Campus, posso dire che più che il risultato stesso del lavoro fatto, superato presto dai progressi tecnologici e dalle offerte della grandi aziende, fu utile per stabilire contatti, acquisire risorse, imparare metodologie e darci visibilità e prestigio. Ne seguii altri successivamente, mentre mi occupavo anche della nascita della Biblioteca e della gestione dei servizi generali tecnici.
Un capitolo interessante fu l’introduzione di Internet nel Campus. Il primo collegamento, via modem (SLIP), fu concesso dallo IASI che ci dette a metà del 1995 (o forse prima) una casella e-mail elettronica liucbm@iasi.rm.cnr.it. A fine 1995 attivammo un ingegnoso sistema tramite il quale riuscivamo a recapitare automaticamente ai singoli utenti interni i messaggi a loro destinati nonostante l’indirizzo di posta elettronica pubblico fosse uno solo generale: la posta elettronica interna basata sulla rete Windows era infatti già funzionante da tempo. Una curiosità: quell’indirizzo dello IASI, da tempo non più valido, è ancora presente su Internet su un articolo di Antonello Persico recensito da PubMed.
Il 1° settembre 1996 inaugurammo il primo sito web sperimentale del Campus ospitato sui server del Centro ELIS, con il nome non registrato unicbm.it. L’8 febbraio 1996 avevo fatto richiesta al GARR di registrazione del dominio liucbm.it e assegnazione di una classe C di indirizzi IP segnalando che avremmo successivamente comprato una linea dedicata di collegamento a Internet. In effetti fu nel 1997 quando riuscimmo ad averla e quindi a far partire il primo vero sito del Campus. Ne è rimasta traccia nella sua versione di fine 1997 in cui si trova ancora la guida all’Università del 1996/97. Fu nel luglio 1998 quando registrammo il dominio attuale www.unicampus.it come segno di maturità di un’Università vera e propria. Nel frattempo, eravamo presenti nei luoghi istituzionali in cui si progettava il futuro della rete GARR della ricerca e università italiana: partecipai a molte riunioni alla CRUI come delegato del Rettore.
Tante altre belle avventure abbiamo vissuto fino al trasloco a Trigoria. Già negli ultimi anni di permanenza del Campus a via Longoni avevo però dovuto ridurre il mio impegno perché all’ELIS il lavoro si faceva sempre più pressante con l’assunzione della responsabilità di direzione e presidenza. Cercai però nel 2007 di aiutare nel trasferimento all’attuale sede, collaborando su vari fronti, soprattutto nelle tecnologie informatiche.
Dal 1° gennaio 2011 mi sono dimesso da dipendente (da tempo lavoravo part time) numero 17 (ma sarebbe dovuto essere matricola zero…) con un po’ di rammarico per non riuscire più a lavorare in un’impresa che ho visto nascere. Ringrazio tutti coloro (alcuni di loro sono già in Cielo) che hanno contribuito a raggiungere gli obiettivi visibili e chi ora lavora, nonostante tutte le difficoltà, per continuare nella linea dettata dal Beato Alvaro del Portillo e da Mons. Javier Echevarría, morto a fine 2016. Di quest’ultimo ricordo bene di averlo accolto nella sua prima visita al Campus Bio-Medico, a via Longoni, in occasione della morte del primo Rettore, Pietro Bucci: andò a pregare davanti alla sua salma nella piccola ma accogliente cappella installata al piano terra, con il crocifisso giottesco dipinto da Gilberto Balducci, anche lui andato in Cielo meno di un anno fa.
Da quando sono a Bari a dirigere il Collegio Universitario di Merito IPE Poggiolevante ho sempre meno rapporti con il Campus Bio-Medico: mi limito a partecipare, quando posso, alle assemblee dell’Associazione Campus Bio-Medico, di cui sono socio dopo esserne stato fondatore e componente del Comitato Direttivo. Ogni anno però, da decenni, qualcuno mi cerca per chiedermi consiglio su come prepararsi al test di ammissione: continuo a dare i miei suggerimenti sulla metodologia della preparazione, frutto dell’esperienza, ma non tutti li seguono. Ribadisco che non ci sono scorciatoie e che vince chi se lo merita, non nel senso di essere più bravo, ma più capace di reggere lo stress della giornata di selezione.
Michele Crudele
17 maggio 2018